mercoledì 11 dicembre 2013

PISTOIA BLUES

Aprii piano gli occhi.
Il caldo opprimente delle notti precedenti sembrava aver lasciato spazio a una brezza avvolgente e ristoratrice, capace di farmi dormire, e quindi riposare, da un po' di tempo a questa parte. Il sole filtrava benevolo e intrigante tra le foglie degli alberi che ricopono in modo fiabesco le colline sopra Pistoia, e formava tanti piccoli riflessi, come se il sottobosco fosse stato illuminato da un antiquato ma ancora nobile lampadario di cristalli a goccia. Raccattai le mie cianfrusaglie e le riposi nello zaino.
Indugiai ancora un poco, spazzando con lo sguardo la riva sassosa del torrente su cui avevo appena passato la notte; da una parte era visibile il cestino posteriore di una vecchia bicicletta, da me usato, capovolto a mò di griglia, per arrostire del pollo la sera prima. Feci dei lunghi respiri, allarghando le braccia e dilatando bene i polmoni: quando si è immersi nell'aria pulita, è sempre bene immagazzinarne quanta più possibile, secondo me; quindi, sotto un sole giallo e limpido, mi inerpicai cautamente lungo un piccolo sentiero che portava alla strada poco distante, dove già sentivo passare le prime auto.
Quel giorno sarei sceso fino al festival del "Pistoia blues".
Per chi non lo sapesse, il Pistoia blues è un festival che si svolge ogni anno, già ormai da molti anni, nei mesi estivi, proprio quando il caldo ossessivo e  languido è nel pieno della sua maturità, e striscia  sonnolento tra le vie e i tetti di quella piccola e innocua città che è Pistoia.
Al Pistoia blues, di solito, vengono invitate delle star internazionali, una sorta di "clou" della serata.
I primi giorni del festival sono dedicati a gruppi underground locali, anonime e a volte gradevoli rock band in cerca di un po di pubblicità; poi, man mano che i giorni passano, anche gli ospiti aumentano in notorietà:
dopo cantanti e complessi di caratura nazionale, più o meno famosi, arriva la tanto sospirata sera dell'ospite d'onore. Anche se Pistoia è una città per molti versi insignificante, riesce, con la scusa del festival, ad accaparrarsi ogni estate delle vere e proprie celebrità internazionali: "Doors" (ovviamente i superstiti) e "Deep Purple"  sono soltanto un paio di esempi. Si, Pistoia, almeno per una volta all'anno, si innalza a polo d'attrazzione a livello europeo, e migliai di ragazzi arrivano da ogni dove, a volte perfino in autostop (come feci io) o con vecchi furgoni tipo "hippie" scassati, e sono stracolmi di una gran quantità di soldi da spendere in concerti, alcool, camere d'albergo, ristoranti, gelaterie, bar e mercatini multietnici, di quelli che si trovano di solito in luoghi del genere, e che vendono le cianfrusaglie più assurde (sarà per questo che li adoro). Ecco svelato il trucco della piccola e sonnolenta Pistoia. So per certo - dato che conosco personalmente molte persone del luogo-  che gli abitanti di Pistoia, almeno la maggior parte, sono costretti a sopportare questa invasione di vere e proprie cavallette sciamanti solo in virtù dell'enorme guadagno economico che ne trae tutta la città; lo spettacolo che offre, finito il festival, somiglia in modo inquietante alle foto che si vedono nei libri di storia che raffigurano la zona di Caporetto subito dopo la tragica disfatta contro gli austriaci. Infatti, a onor di cronaca, devo ammettere che molto spesso questi ragazzi non sono altro che punkabbestia e scoppiati di ogni sorta, ragazzi che sfarfallano come possono da un festival all'altro, in cerca di divertimento e droghe a profusione.
C'è un enorme campo appena fuori il centro di Pistoia, adattato a campeggio, ed è li che tutta questa gente pianta il proprio quartier generale:
possiamo trovare tende enormi, tirate su con i materiali più vari, con annessa cucina e piccola bancarella di oggettistica fatta in casa; teepe modello "sioux", dalla cui cima aperta si può osservare, catturati come in un sogno, un continuo eruttare di aromi eccitanti e psichedelici, un fumo denso e oleoso che va a mescolarsi con l'onnipresente odore di salsiccia alla griglia che stagna su tutto l'accampamento; poi ancora piccole tende per un massimo di due persone (in cui si infilano sempre in quattro o cinque), sacchi a pelo senza nessuna tenda, o anche solo dei semplici stracci posati in terra, a indicare che quel pezzettino di posto è già occupato. In mezzo a tutto questo, poi, rieccheggia il continuo e invasivo ritmo di tamburi africani, inframmezzati da assoli di chitarra e da urla che di umano hanno ben poco.
La giornata tipo in quei giorni si svolge più o meno così:
la mattina, di solito, i ragazzi fanno ampio uso dei lavandini installati appositamente per gli "ospiti" del campeggio, modello accampamento militare ma, usandoli come farebbero degli oranghi in calore, l'unico risultato ottenuto è quello di far diventare la terra polverosa tutto intorno una enorme e indefinita palude appiccicosa. Poi, una volta infangato ben bene da tutte le parti, c'è chi decide di rimanere al campo a cazzeggiare fino a sera, scambiare amene cianfrusaglie con amici occasionali, e a drogarsi il più possibile. C'è chi invece prende il bus e va verso il centro, passa la giornata a cazzeggiare, e cerca di drogarsi il più possibile.
Tutti aspettano la sera, il momento del concerto, quel momento dove i cancelli si aprono, e tu devi correre veloce sotto il palco per occupare il posto migliore, il posto che pensi debba esserte assolutamente tuo, perchè tu sei, tra tutti i presenti accorsi, il più acceso fan del cantante, e quindi quel posto ti spetta di diritto! Ovviamente tutti pensano la stessa identica cosa, ed è proprio per questo motivo che immancabilmente assistiamo a vere e proprie azioni di guerra, concertate tra i vari gruppi di amici, intraprese al solo scopo di sconfiggere tutti gli altri: si carica frontalmente, a testa bassa e con tutte le armi e le tecniche che si hanno a disposizione, attraverso il lungo e intricato percorso di avvicinamento al palco.
Per me, ancora fermo sul ciglio di una strada montana, in attesa che qualche automobilista di buon cuore si fermasse a tirarmi su, tutto questo non aveva alcun significato;
come al solito, infatti, non avevo il becco di un quattrino, e se non sapete quanto costa un biglietto per assistere a uno di questi concerti, allora ve lo dico io: tra le quaranta e le cinquanta euro ( e sto parlando di alcuni anni fa, oggi non oso neanche immaginare a quali prezzi siano arrivati).
Ma che diavolo ero andato a fare in montagna?
I giorni precedenti ero stato a giro tra  l'accampamento e il centro città, strimpellando la chitarra per raccattare un po' di spiccioli. Addirittura venni avvicinatio da un gruppo di ragazze, le quali stettero ad ascoltarmi per qualche secondo ma, non essendo mai stato un virtuoso della chitarra, andarono via senza sganciare neanche un centesimo, dirette verso persone più brave e sicuramente più belle e divertenti di me.
Solo una di loro si attardò nei  pressi, indecisa e titubante:
"hey, ma che ci fai qui da solo? Sembri triste; perchè sei triste?"
Alzai lo sguardo e la guardai per la prima volta. Dio se era carina. Le ragazze che frequentano questi posti sono sempre molto carine; sono diverse dalle "discotecare". Il modo di vestire (le ragazze possono indossare tutto quello che vogliono, senza per questo apparire ridicole, a differenza degli uomini), il non truccarsi, il non badare alla ricchezza dei compagni...tutto mi attira di loro.
"Oh, ma non sono triste, osservo la vita e il mio umore si regola di conseguenza" risposi senza pensarci più di tanto.
" E tu?" continuai, "tu perchè sei qui, ora, a perdere tempo con me?"
"Io invece volevo vedere se mi riusciva di conoscere una persona vera."
Il discorso continuò su questi toni ancora per un po', poi, come se la tipa avesse richiamato da distanze abissali tutte le sue forze, continuò seria e decisa:
"senti, io sto a Siena, e mio padre ha un'officina, e al piano superiore c'è un appartamento vuoto...."
Mi guardò come per capire se stravo afferrando la situazione; non sono mai stato bravo ad afferrare nulla, per cui, mentre facevo finta di spremermi le meningi, fu lei a continuare al posto mio:
"potrei convincere mio padre ad assumerti all'officina, e potresti vivere nell'appartamento di sopra, gratis ovviamente." La guardai incerto. Bèh, probabilmente non sarebbe stato poi tanto male, pensai:
in un unico botto avrei avuto un lavoro, una casa, e molto probabilmente una fidanzata carina e benestante. Ma invece, come a volermi conformare con l'insana pazzia che permeava le migliaia di persone tutto attorno a noi, riabbassai lo sguardo sulle corde della chitarra, sfilacciate e già spezzate in più punti:
"Non posso, c'è già qualcuno che mi aspetta."
Ovviamente era una sporca menzogna; nessuno mi aspettava, e le poche persone che conoscevo non avevano la più pallida idea di dove ero ne di cosa stessi facendo.
Ero così abituato alla solitudine che scartavo automaticamente ogni proposta che avrebbe cambiato questo stato di cose, senza contare che c'èra sempre la possibilità che la tipa mi stesse semplicemente prendendo per il culo; "come è difficile pensare bene delle persone" pensavo. "Tra un po raggiungerà le sue amiche e, dopo avergli raccontato tutto, si faranno una grassa, forzata e prolungata risata."
"Senti, io rimango fino a domani sera, almeno fino al concerto di Lou Reed, e se cambi idea basta che vieni a cercarmi e mi dici cosa hai deciso" continuò lei, come a sugellare una promessa che probabilmente avrei finito con l'accettare.
Sorrisi dal bordo della strada, pensando a come sarebbe stato se solo avessi accettato davvero.
Non avrebbe mai funzionato: era uguale alla vita che cercavo di dimenticare, solo condita con un po' più di sale; dopo un mese o due avrei cambiato di nuovo idea e mi sarei fiondato sulla strada di nuovo, sempre con la mia vecchia e sgangherata chitarra a tracollo, a percorrere sentieri che si perdevano dietro curve di cui non riuscivo mai a vedere la fine. Le cose belle sono sempre ben nascoste, come i diamanti sotto terra, e mai così a portata di mano, come quella ragazza voleva farmi intendere.
Aspettai un pò di tempo col pollice spianato verso sud, paziente e insolitamente di buon umore.
Da lontano vidi avvicinarsi un vecchio furgone della wolksvagen, abbellito da disegni di margherite multicolore; quando fu più vicino potei scorgere al volante un tipo occhialuto e barbuto, completamente assorbito dalla guida, e per un attimo pensai che non mi avrebbe neppure visto. Poi, forse consigliato dalla ragazza rasta che stava al suo fianco, riuscì ad accostare sul bordo della strada proprio quando mi aveva già ormai superato di molti metri. Mi avvicinai di corsa, con lo zaino che sbatteva su e giù a ogni falcata. La ragazza si affacciò dal finestrino e, sorridendo come una diva della televisione, (e sembrava proprio esserlo) disse:
"non so se c'è posto...prova comunque a dare un'occhiata."
Spalancai la porta laterale del furgone, facendola scivolare su di un lato; l'interno era stipato fino all'inverosimile: stravaccati su cumuli di coperte e cianfrusaglie, infatti, c'èrano già una mezza dozzina di persone cariche di bagagli, oltre a un paio di cani decisamente maleodoranti, e tutti loro, guardandomi meravigliati, insistettero col dire che lì dentro non c'èra più posto per nessuno. Dal canto mio non stetti minimamente a sentirli, e con foga lanciai dentro sia la chitarra che lo zaino, senza preoccuparmi dove esattamente andassero a finire; poi, spostando cumuli di oggetti da un angolo ad un altro angolo, mi strizzai dentro...."ma si che c'è posto" dissi, "vedete, basta sistemare meglio le cose e il gioco è fatto!"
Il bello di queste situazioni è che sei costretto a vivere appiccicato a dei perfetti estranei, di cui raramente arrivi a conoscerne il nome, e l'unica cosa che vi accomuna è l'innato desiderio di non fare conoscenze e di rimanere da soli il più a lungo possibile. Non trovate tutto ciò fantastico?
Partimmo lentamente, guardandoci l'un l'altro.
I pazzi si somigliano tutti, li si può riconoscere dal riverbero di una strana luce che vibra dietro la penombra delle palpebre, guizzante come un pesce umido tra le mani, e ti guardano come a voler dire:
"ciao amico, io sono completamente fuori di testa, e tu?"
Certo che ero fuori di testa, altrimenti non mi sarei trovato lì; ma la mia era una pazzia momentanea, di esplorazione. Ogni ragazzo del genere è preda di una insanità molto personale e particolareggiata: noti questa luce sinistra e affascinante, ma non puoi mai essere del tutto sicuro di che  tipo di pazzia  li accompagna, almeno fino a quando non ci passi qualche giorno insieme.
Io, come al solito, ero vittima di uno dei miei momenti di sconforto, che mi obbligavano a lasciare la facoltà e a mettermi sulla strada, in cerca di qualcosa....non so esattamente cosa, ma non avrei rinunciato a cercare fino a quando non avrei capito esattamente cosa stessi cercando. Questo accadeva sempre dopo un limitato periodo di relativa "normalità" quotidiana. Passo le giornate curvo sui libri, sicuro che la verità sia tutta lì, ma ben presto mi risveglio da quello che sembra un coma indotto da potenti pscicofarmaci, e guardo assorto i rami degli alberi che si sporgono fino ad affacciarsi alle finestre che mi ritrovo a fissare. Come in un filmato accellerato posso vedere le foglie dei rami farsi verde fluorescente, immerse in una luce quasi innaturale, poi color ruggine, finche', scatto dopo scatto, le vedo sbriciolarsi in tanti piccoli frammenti  sospiranti, sotto un impietoso vento autunnale che spazza via tutte le stupidaggini ossidate che sono costretto a subire e a vedere.
Parlammo tra noi, mentre pian piano ci avvicinavamo a Pistoia. I ragazzi mi invitarono a fare un pò di mercatino con loro; arrivavano direttamente da Treppio, una piccola località nei cui pressi sorge la comunità degli "elfi". Gli elfi sono persone che hanno deciso di vivere immerse nei boschi. Li conoscevo bene, dato che sono andato a trovarli molto spesso, e sapevo che loro, oltre a coltivare la terra e vivere senza corrente e televisione, a istruire i loro figli a contatto con la natura, costruivano piccoli manufatti di legno in modo da poterli poi rivendere nei vari mercati di Pistoia. Valutai bene la cosa, ma poi, fedele alla decisione di sbrigare i miei problemi tutto da solo, dissi di no; dissi che avevo delle cose da fare. Una dritta: se uno vi dice che ha qualcosa da fare, senza spiegare poi cosa esattamente deve fare (e questo è già sospetto, dato che tutti sono più che pronti a sciorinare ogni tipo di inezia personale, che ritiene oltremodo sensazionale) lasciate perdere:
non ha una mazza da fare.
Per cui, come già detto, finii col passare il resto della giornata ad annoiarmi platealmente, senza trovare niente da fare. Osservavo gente di ogni risma ed estrazione sociale  bere e  fumare in gran quantità, come se per loro presentarsi completamente stravolti al concerto fosse la cosa più sensata da fare. Il problema di chi ha tanti soldi da spendere è che raramente si concede il lusso di spenderne un pò con un perfetto sconosciuto, per cui restai tutto il pomeriggio circondato da quelle cose che avrei voluto fare se solo ne avessi avuta l'opportunità, e che tutti facevano all'infuori di me: bere e fumare fino allo sfinimento.
Ma come fanno tutte queste persone ad avere abbastanza soldi da soddisfare ogni voglia più o meno illegale?
Cosa fanno durante tutto l'anno?
Come vivono?
Nessuno di loro, infatti, sembrava avere un lavoro regolarmente retribuito. Ma che dico?  Sembrava che non avessero neanche l'idea che ci fosse qualcosa a che fare con un lavoro retribuito. Che fossero figli di ricchi industriali che tutto potevano e tutto volevano?
Per quel che mi riguardava, i soldi della sera prima erano già stati spesi per un pò di birra e il pollo da fare alla griglia, e tutto quello che feci fu di restare appoggiato a un muro, come a voler impedire che crollasse.
Finalmente arrivò la sera, e solo e perfettamente lucido mi avvicinai alle transenne che delimitavano l'area dove si sarebbe tenuto il concerto. Quella sera cantava Lou Reed, e come le sere precedenti mi sarebbe bastato solo stare nei dintorni, senza fare nulla, ad ascoltare l'eco delle canzoni che mi arrivavano attraverso le stradine contorte e medioevali, ovattate dalla solita e inestinguibile afa che copriva tutto come del soffice cotone.
Lou Reed....un mito del rock n' roll che ho sempre apprezzato. Quanto avrei dato solo per poterlo vedere.
Verso la fine del concerto, dopo essermi beato sulle note delle sue canzoni più belle e famose, mi avvicinai guardingo in direzione delle transenne. Ci arrivai proprio quando il concerto sembrava essere finito, dato che le barriere erano state rimosse e le persone abbandonavano lentamente la piazza. Decisi di entrare nell'arena (il concerto era finito e a nessuno importava niente di quello che facevo) e subito mi ritrovai immerso in una selva di fischi e imprecazioni. Non capivo: avevo ascoltato il concerto dal di fuori, e non capivo cosa ci fosse stato di così grave da far infuriare tutta quella gente. Mi guardai mollemente attorno.
Dopo un pò, mentre mi avvicinavo sotto il palco che si stava man mano svuotando, accompagnato da un boato di fischi da stadio, vidi Lou Reed tornare precipitosamente sul palco, assieme a tutta la band. Poi capii.
Lou aveva concluso la sua esibizione senza cantare quella che forse è la sua canzone più bella e rappresentativa : "just a perfect day".
Improvvisamente fui cosciente di una valanga di ragazzi che correvano da tutte le parti, molti dei quali diretti proprio sotto il palco, la stessa direzione che avevo appena preso. Le transenne furono prontamente rimesse al loro posto, e tutto fu di nuovo sigillato. Ma ormai ero dentro, e quasi sotto il palco, con gli occhi fuori dalle orbite; osservai gli artisti riprendere il loro posto pronti a suonare, e con Lou Reed che nel frattempo si scusava con il pubblico per non aver cantato quella canzone che tutti  si aspettavano avrebbe cantato. Non potevo crederci!
Ero lì, immobile, ad ascoltare dal vivo quella che è sempre stata una delle mie canzoni preferite, e che Lou era stato costretto a cantare, magari contro voglia, solo per accontentare il pubblico pagante. Divenni di marmo; potevo vedere le note volare sopra la folla, come se fossi stato io stesso nota, che partiva dal palco e, immerso in un fluido di aliti speziati e rutti liberatori, vedevo raggiungere me stesso, fino a colpirmi come un diretto ben assestato. La ragazza di Siena non la vidi; magari non c'èra neanche e tutto quello che mi aveva detto era solo una grossa burla, giusto per ridere con le sue amiche. Chi lo sa?
Per concludere, posso dire che quella magica atmosfera che in passato è riuscita a gettare un onirico incantesimo su di me, si è in larga parte affievolita:
vivere "on the road" ha un qualcosa di romantico solo quando si è giovani, poi subentra uno stato emotivo di triste inutilità nei confronti della vita. Se decidi di restare fuori, devi restare fuori e basta; non puoi entrare e uscire dalla società standarizzata quando vuoi. Devi fare una scelta, come l'hanno fatta gli "elfi".
Come dicevo a un amico quando tornavo da una di queste feroci scampagnate:
"ah, che botta de vita."
"a me pare, più che altro, na botte de vino."
Si, finiva tutto in una grossa risata, e non potevo non capire che è così che doveva finire.



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