mercoledì 13 luglio 2016

L'OPERAZIONE, PAOLA E I VECCHI VOL. 5

Sono con Paolina. Sono con lei sempre, tutti i giorni. Non so quanti chilometri  ha macinato solo per venire al mio capezzale, con la bicicletta sotto un sole spietato, velenoso, spesso senza neanche pranzare, dal lavoro all'ospedale; e potete credermi sulla parola se vi dico che i due luoghi sono molto distanti tra loro:
dall'estrema periferia ovest di Firenze, paludosa e piatta, luogo di casermoni popolari, all'estrema periferia est, collinosa e punteggiata di ville padronali...
Soffro, il dolore è insopportabile. Per passare il tempo provo a dormire, ma raramente ci riesco...non posso muovermi, allievare il peso che grava sulla schiena, ogni gesto rischia di spezzare la gabbia toracica; chiamo gli infermieri, li prego di aumentare le dosi di morfina...sono perennemente attaccato a un macchinario che innietta la droga tramite un regolatore...loro accorrono, valutano, mi guardano impotenti:
"E' già al massimo" mi sento dire.
E' ancora una volta notte; ancora una volta giaccio nella penombra sterile, mormorante.
Devo andare in bagno...tutto vortica, sono immerso in un contenitore di plastica, la notte getta secchiate di vernice blu cobalto nella stanza...mi tolgo le coperte di dosso, metto un piede fuori dal letto, allungo una gamba nel vuoto, mi tiro su...se non mi reggo casco per terra...barcollo piegato in due dal dolore...il bagno è occupato, fisso la porta chiusa, il pomolo tondo della maniglia, freddo, si apre in un ghigno cromato.
Attacco di cuore
attacco di panico
attacco epilettico
sono attaccato da tutte le parti, su più fronti. Sono allo stremo.
Mi ridistendo e aspetto il mio turno. La porta si apre, il tizio che occupava il bagno torna mestamente a letto; ora posso entrare, rimetto i piedi fuori dal letto prima di rendermi conto che:
A: il bagno è vuoto, il mio compagno di stanza non si è mai alzato (non avrebbe neanche potuto farlo, come me del resto)
B: non mi scappa neanche di andarci
Ora sto insegnando educazione sessuale a dei bambini, e come ospite, per poter meglio spiegare la lezione, invito Piero Angela, come a dire:
Vedete com'è professionale il programma di stasera?
Mando i bambini in bagno, a turno mi chiedono di poter andare; a volte ci stanno molto, non si sa bene quello che succede lì dentro...non so bene perchè dico tutte queste sciocchezze...allucinazioni da morfina.

I brividi scoppiettano su tutto il corpo
sbocciano come tanti fiori
è pioggia battente che vibra
che scuote,
rivoli di sudore
sul petto scosceso,
un mostro dalle fauci  spalancate
affamate

Forse pensate che, dopo le poco lusinghiere parole che ho riservato agli anziani, io non abbia rispetto per i cosiddetti "vecchi". Ebbene, niente di più falso. Sarebbe come odiare dei bambini.
Oggi, nella mensa del centro di recupero "Don Gnocchi" -posto dove sono stato trasferito dopo l'operazione del 25 Giugno per fare la riabilitazione- non ho potuto fare a meno di osservare, come capita spesso anche nei ristoranti, gli altri commensali intorno a me.
Purtroppo il destino, data la natura dei miei problemi di salute, ha voluto che passassi molto tempo in loro compagnia, e proprio in quei luoghi dove le loro paranoie e le loro cocciutaggini si manifestano nel modo più palese. Vederli mangiare così, tutti assieme, raggruppati in branco, mi ha fatto spesso passare l'appetito...è strano vedere una novantenne tutta pelle e ossa, infossata su di una sedia a rotelle, allungare lo sguardo famelico verso la pietanza del vicino di posto, appena servito -e come lei tutti i commensali del tavolo- e rianimarsi all'istante, sollevandosi quasi dalla sedia, alla stregua di un avvoltoio in cerca di una carcassa da spellare...una cupidigia che ho notato fin da subito...sembra quasi che pretendano tutto quello che possono avere, bramosi, anche se poi lasciano quasi tutto nel piatto...avidità stupida, inutile, avidità capricciosa, da soddisfare. Il loro sguardo sorpreso, stupìto, quando ad esempio l'operatore mette del formaggio sui maccheroni, e lo richiamano scocciati, come fossero al ristorante, a gran voce (attingendo da una non meglio specificata sacca di energia) e si fanno cambiare il piatto...solo durante il suddetto cambio, in assenza dell'operatore, li senti poi biascicare parole cariche di acido sarcasmo..."e gli è da un mese che son qui, e ancora un hanno capito che a me il formaggio nei maccheroni e un mi garba..."accompagnando la digressione con ampi gesti di disgusto, gesti che fanno accorciare le maniche della vestaglia da letto, mettendo a nudo braccia della consistenza e del colore delle lumache. Pretendono l'esclusiva su tutto, come se i loro problemi fossero più importanti di quegli degli altri.
Domandano in continuazione, a ogni inserviente che passa, che primo, che secondo, che frutta c'è, e anche se sono stati abbondantemente informati su cosa c'è da mangiare, sentono il bisogno di rifare le stesse domande al momento della comanda, facendo perdere un sacco di tempo a tutti.
La loro vita servile finisce per essere travasata, modellata, in quei corpi deformi, otri di pelle consumata che perdono da tutte le parti, e che ci si ostina a voler rattoppare.
15 giorni di ferie all'anno, la tredicesima, il mutuo, le rate dell'automobile...ci credo che si capiscono, che fanno comunella, che si sostengono a vicenda.
Sono così abituati alle briciole che, anche ora, in età avanzata, non più inseriti nell'ingranaggio, non più adatti alla caccia, ultimi nella catena alimentare, continuano a volerle quelle briciole, e lo fanno alla maniera degli avvoltoi, ultimi a gracchiare sui rimasugli del banchetto...somigliandoci anche nell'aspetto. Il loro sfacelo si manifesta nei loro sguardi sbigottiti, increduli, sbarrati da ovvietà non più recepite.
Già mezz'ora prima dei pasti li puoi vedere lungo tutto il corridoio, in ordine sparso, poggiati ai loro carrellini che li sostengono e li fanno avanzare, capaci di raggiungere, in velocità, punte che normalmente, ed in altri orari, non sospetteresti mai...davvero si fa fatica a stargli dietro.
L'immagine che oggi più mi ha scioccato, in mensa, è stata quella di un "tronco" umano -povero cristo, molto giovane, direi sui 25 anni; fino a ieri non c'èra, probabilmente è arrivato in nottata- cioè una persona senza braccia e gambe. Stava in carrozzina, e non ho potuto fare a meno di osservarlo;
Spalancava la bocca, vorace, allungando il collo, per quanto possibile, verso il cucchiaio di minestra che un inserviente gli porgeva a intervalli regolari e, anche se sapevo che non era conveniente fissarlo, davvero non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso.
Poi, mi vergogno ad ammetterlo, quando infine distolsi lo sguardo da quello spettacolo per affondarlo nel mio piatto, mi ritrovai a pensare cose del tipo:
A che scopo tutto ciò?
A cosa serve alimentare quel tronco?
E' davvero così importante vivere?
Voglio dire, alimentare uno stomaco messo lì, sopra una carrozzella...un serbatoio che non servirà mai più da riserva di energia, da cui attingere per portare avanti le più elementari pratiche quotidiane...che senso ha?
Quello di vegetare?
Sono un mostro? Sono un bastardo insensibile?
Io so che non vorrei mai e poi mai apparire come una bocca spalancata che ingurgita cibo che finirà semplicemente in una sacca posta poco più in basso...

Fragile cigolìo che ha ricevuto sole e pioggia
e olio mai
questo odo sui cardini del mio cuore
e fa male, brucia
un dolore di carne che sfrega su qualcosa di granuloso
impasto di sangue e polvere
steso sulla terra
sentiero di ammonimenti.





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