Tutto ebbe inizio alcuni anni fa.
Non saprei dire esattamente quando; in tal senso la mia memoria è un po difettosa.
Quando ripenso ad alcune cose, non sono mai sicuro di quando effettivamente queste si siano svolte, cronologicamente parlando. Se la cosa è successa, ad esempio, ieri, non ne sono mai assolutamente certo;
potrebbe essere stato ieri o l'altro ieri o magari tre giorni fa; forse addirittura il mese scorso, per quel che ne so. La cosa, a volte, puo essere frustrante. E' come se non avessi più la percezione dello scorrere del tempo (almeno del tempo come noi lo conosciamo) anzi, sembra quasi che la cosa non mi importi più di tanto. Magari c'èntra qualcosa l'ischemia cerebrale che ebbi alcuni anni fa; non saprei, ma in fondo che importa?
Un mese fa o due mesi fa non fa nessuna differenza; quello che conta è il contenuto, non il contenitore.
La faccenda assumerebbe altri connotati in alcune circostanze:
potrebbe importare davanti a un interrogatorio, ad esempio, dove bisogna essere sempre estremamente precisi, soprattutto nelle date e negli orari.
Ma questo non è un interrogatorio, quindi dovrete accontentarvi di espressioni del tipo "qualche giorno fa", oppure "qualche mese fa", ecc....
Dunque:
alcuni anni fa conobbi Lucia, una ragazza semplice e onesta, senza grosse pretese (almeno così sembrava). L'unica cosa di interessante in lei erano le sue enormi tette, sode ed enormi; sono davvero uno spettacolo, e ci ho sempre annegato lo sguardo. A lei la cosa non dava assolutamente fastidio, anzi, le esibiva con orgoglio, e sembrava incoraggiare questi miei comportamenti indossando sempre magliette molto scollate, sbattendomele praticamente in faccia.
Ci incontrammo al matrimonio di un mio cugino, e lei era stata invitata in quanto amica della sorella dello sposo. A me non interessava granchè conoscerla sul serio, ma lei, invece, sembrava non pensare ad altro. Si appiccicò a me dal primo momento che mi vide, e ancora oggi non mi da tregua.
La storia è molto lunga e complessa, ma vi basta sapere, per ora, che ci tenemmo costantemente in contatto. Mi chiamava in continuazione; era proprio cotta di me. Io non l'ho mai illusa, non l'ho mai fatto con nessuno, ma credo che scambiò la mia gentilezza nei suoi confronti in qualcosa di molto più grosso.
Abitavamo in due città diverse, in due regioni diverse, e le nostre stesse vite non avrebbero potuto essere più diverse.
Fu quindi con insolita incredulità che un giorno la vidi arrivare a casa mia. Partì dal suo paese apposta per venire a trovarmi.
Le sue intenzioni furono subito chiare.
Passammo praticamente una settimana intera a letto, quasi senza interruzzione.
Ogni tanto preparavamo qualcosa da mangiare, o si faceva due passi, ma sostanzialmente trascorremmo un'intera settimana in camera da letto, preda dei desideri più reconditi e proibiti.
Non riuscivo neanche a dormire. Quando ci provavo venivo prontamente risvegliato dalle sue tette palpitanti, che reclamavano ancora mille attenzioni. Non mi dava tregua.
I primi giorni la cosa mi piacque, ma poi cominciai a essere un po'....come dire...svuotato.
Non l'avrei mai fatta così "disinvolta", tanto per usare un eufemismo. Pensava solo a scopare; non gli importò nulla neanche di fare un giro in centro a Firenze.
Dopo alcuni giorni il mio membro cominciò a mandare segnali allarmanti:
Oltre ad essere tutto rosso e gonfio, alla base della cappella si era formata tipo una ciambella, un doloroso rigonfiamento che faceva come da sciarpa al resto dell'organo. Faceva molto male, e si ingrossava e infiammava sempre più, man mano che Lucia ci si accaniva sopra.
Tentai di farla smettere, ma più le dicevo che provavo dolore e più il movimento della sua testa si faceva insistente.
Per farla breve, quando finalmente ci salutammo sul treno che doveva riportarla a casa, decisi di andare al pronto soccorso. Tenevo il pene , che era più infiammato e gonfio che mai, avvolto in una lunga benda, e andando verso l'ospedale camminavo a gambe larghe, come un babbuino.
Quando fu il mio turno per essere visitato, il medico mi chiese:
"e tu cos'hai?"
Con vergogna e a capo chino, senza parlare, mi abbassai i pantaloni e srotolai la benda.
Il medico rimase a bocca aperta.
C'era questa ciambella infiammata, alla base del "glande", che palpitava e si contorceva come un animale ferito. "Non ho mai visto niente del genere" esclamò il medico, con lo sguardo perplesso. Poi andò al telefono e parlò con qualcuno:
"ho chiamato un mio collega" disse; "voglio che gli dia un'occhiata anche lui", sentenziò infine, mentre tornava a fissare curioso tra le mie gambe.
Dopo un po' arrivò non solo questo suo collega, ma anche altri medici e infermieri; c'era chi passava di la per caso e si avvicinava curioso, o chi veniva apposta, dalle stanze attigue, per vedere dal vivo questo scherzo della natura.
Erano tutti affollati intorno a me, a fissare e cercare di capire cosa avevo.
Scuotevano la testa con fare scientifico, e cercavano di mettersi daccordo tra di loro su come procedere.
Io, nel frattempo, cercai di allontanarmi dalla realtà, cercando rifugio nel mondo della fantasticheria:
"Finalmente il pagliaccio triste ha trovato il suo pubblico" pensai.
Dopo poco fui spedito in un reparto un po' isolato, dove venni sdraiato su un lettino; quindi, dopo svariati minuti di attesa, arrivò la dottoressa Durbans, una giovane e carina ragazza dai capelli rossicci.
"Ti farà un po male" disse senza tanti preamboli, mentre si infilava con vigore dei guanti di lattice; poi prese un po' di crema da un tubetto mezzo vuoto e lo spalmò con cura su tutto l'organo.
"Così dovrebbe fare un pochettino meno male" disse.
"Scusi, posso sapere che intenzioni ha?" cercai di balbettare: quel suo modo di infilarsi i guanti non mi era piaciuto affatto, e sembrava non avere alcuna idea circa il "modus operandi". "Ora cercherò di far tornare la pelle a coprire tutto, per cui devo prendere questa cosa gonfia che tu chiami ciambella, e tirarla su, finchè non si stende e torna al suo posto." Sembrava non ci fossero altre alternative.
Chiusi gli occhi e, preparandomi al dolore che sarebbe presto giunto, mi apprestai nel migliore dei modi per adattarmi alle sue cure, delicate e materne..
Tutto d'un tratto, da dietro il buio delle mie palpebre chiuse, vidi esplodere mille luci colorate, come fuochi d'artificio lanciati nella notte
la dottoressa Durbans aveva iniziato a tirare, e il dolore indescrivibile che provai mi fece letteralmente vedere le stelle. Aprii gli occhi e la guardai; con tutte e due le mani aveva afferrato l'estremità della mia ciambella, con inaspettato vigore, e tirava con tutta la forza che aveva. Mi trincerai dietro grida strazianti, la supplicavo di smettere....."No, resisti, deve venire su"....insisteva lei, tutte le volte tirando con maggior impeto. Io strinsi i denti e cercai di urlare il meno possibile, ma il dolore era davvero insopportabile. Dopo un po' decisi che la cosa doveva finire, e strappai via le sue mani dal mio organo torturato.
"Basta, questo è troppo" le gridai da dietro una maschera di dolore, e feci per rizzarmi e andare via...
"no fermo, non puoi andare via, sei sotto la nostra responsabilità" rispose la dottoressa, tutta un fascio di nervi. Nel frattempo arrivò un'altro medico, un uomo grande e grosso, a vedere come procedeva la cura....."male, va molto male" rispose prontamente la Durbans, "il paziente rifiuta di essere curato".
"Le dispiace se provo io, dottoressa?" esclamò quella specie d'orso;
"se una piccola e delicata fanciulla mi ha fatto tutto quel male", pensai, "questaltro me lo stacca di netto"......
"No, non ci sto" risposi piccato, "voi siete tutti matti, io mi levo dai coglioni"; tirai su i jeans e mi fermai a osservarli. "Allora non ci rimane che operare" sentenziò con sufficienza il medico-orso.
E fu così che mi operai; e fu così che passai in un letto d'ospedale una notte dell'ultimo dell'anno, di chissà quale anno, ad ascoltare con malinconia, in compagnia di altri pazienti e alle infermiere di turno, il lontano crepitìo dei bengala festosi, che regalava sinistri riflessi di rosso, verde e bianco, ben delineati sui volti cangianti dei pazienti.
Sono ammutolita. Temo che, qui, sia molto più utile un po' di sana solidarietà maschile... :-*
RispondiEliminagrazie. il guaio è che è tutto vero....(alcuni stentano a credere alle mie storie).....se avessi scritto tutto quanto......ma è successo qualche anno fa, non ha più importanza
RispondiElimina"Tutto è bene quel che finisce bene". ;-) Qualcuno l'avrà presa per la solita vanteria da bar, magari... Ma io non ho mai pensato questo. Le vanterie da bar non terminano in modo così doloroso e umiliante.
Elimina