martedì 14 maggio 2013

MALEDETTA VITA

Anche oggi il cielo è passato
goffo e sconclusionato,
rispecchiando sull' asfalto
gelidi grumi di luce.
Ne ho veduti passare a schiere,
piccoli
ridicoli
meschini e incolore,
come orgasmi mancati.
Li ho visti mescolarsi alla terra,
cambiarsi d' abito e rifarsi il trucco
come attori che si affrettano a entrare in scena.
Continuo come sempre a seguirne il copione,
le gambe allungate
e la testa ciondoloni,
da una parte all' altra, annoiato;
Ma ecco entrare in scena
un nuovo e inatteso attore.
E' una ragazzina,
avrà si e no vent' anni:
grassottella, sciatta, corti riccioli scomposti
a incorniciare un faccione tondo e lattiginoso.
Bèh, di certo un tipo che non potremmo definire,
a scanso di equivoci, carina.
Si trascina, perennemente stanca e scocciata,
in bilico su due gambone ben tornite e rigide,
forzatamente costrette in un paio di scarponi
enormi e slacciati
del tipo " rappettara di periferia."
E' insoddisfatta di tutto
ma gli piacciono le medicine:
"le medicine sono buone" esclama decisa,
con quella sua vocetta stridula e fastidiosa
da bimbetta viziata.
Dice, anche, di amare il dolore
- dice che è stata in coma "diversi" mesi-
e che ormai, già così assuefatta,
è diventata l' amante del suo dolore....di qualsiasi tipo di dolore;
è una cosa che ripete in continuazione, quasi fino alla nausea,
con quella sua vocetta che davvero non si riesce a scacciarla dalla propria vita,
tanto è insistente e ripetitiva, e compare misteriosamente,
mai satura o stanca, quando meno te lo aspetti. Una cosa davvero ossessionante.
Smetto di dondolare la testa e, richiamando le gambe a me,
la osservo incredulo, mentre svolazza per la stanza come una mosca,
posandosi su chiunque gli capiti a tiro.
Allora mi metto a riflettere un poco:
"ma se era in coma, come faceva a concepire una qualsiasi forma di dolore?"
Io, nei miei lunghissimi mesi di ospedale, sono sempre stato cosciente,
per cui, il dolore, l' ho vissuto e subìto tutto,
ed è proprio per questo motivo che ho sviluppato un vero e proprio terrore per il dolore, qualsiasi forma di dolore, sia fisico che "mentale".
Questa ragazzina, quando poggia il suo culone su una poltrona- cioè sempre- puoi star certo che non lo schioda più, e, imperterrita, continua a infastidire chiunque le passi accanto, il quale deve sorbirsi i suoi continui lamenti, che di solito consistono nel "passargli" i più disparati oggetti, amene cianfrusaglie che giacciono inermi -e questo non riuscirò mai a capirlo- sempre oltre il limite stiracchiato delle sue dita grassocce.
Esige continuamente "bacini" e "abbracci" e,
come tutti i bambini che ancora non conoscono il mondo ( e il sacrificio quotidiano che comporta la vita di tutti i giorni) riesce anche a superare sè stessa con domande sciocche e ripetitive, del tipo:
"perchè vesti sempre di nero?"
"perchè non ti tagli i capelli, che così fai proprio pena?"
"perchè quando fumi guardi sempre il cielo?"
"e perchè fumi mentre guardi il cielo?
"e perchè il cielo è blu?"
"ti ho mai detto che mi piacciono le medicine?"
"Sai" continua imperterrita,
mentre tu stai già sbuffando silenziosamente, con una guangia che va pian piano gonfiandosi, come un palloncino riempito ad elio, e poi la svuoti il più silenziosamente possibile, in modo da non far percepire strani strombetìi che risulterebbero volgari e troppo evidenti perfino per un tipo come lei, e con lo sguardo che circumnaviga la stanza in cerca di una improbabile ancora di salvezza....
"sai che ho deciso di scrivere un libro sulla mia vita?"
La guardo esterefatto:
"un libro sulla tua vi.."
"ma si, certo, ho deciso di raccontare TUTTA la mia vita, il mio passato, e di far capire, ai miei futuri lettori, in che modo sono arrivata ad amare il dolore..."
Finalmente sembra decisa a rifiatare un po e, vagamente guardingo, ne approfitto per intrufolarmi nel bel mezzo del suo continuo ciarlare...
"ma per scrivere un libro sulla tua vita, bisogna che prima di tutto tu l' abbia vissuta una vita..."
"MA CERTO CHE LO SO"  risponde ancor prima che finisca di dire la frase;
"Ah"
"si si, e poi scrivo anche poesie."
"Oh no" penso io...."un' altra che scrive poesie"
Ma perchè tutti sentono sempre il bisogno di scrivere poesie?
"VUOI CHE TE NE LEGGA UNA?"
Parlava veloce, senza incertezze, come se celasse dentro di sè chissà quali misteri;
il mio sguardo si impigliò un attimo sullo schermo di un televisore, che qualcuno nel frattempo aveva acceso e, stranamente calmo, lo osservai prendere vita...
"ECCOLA, ORA TE LA LEGGO"
Prese un taccuino dalla sua borsa onnipresente, e mettendosi come in posa cominciò, dosando, per la prima volta da quando l' avevo conosciuta, quella sua vocetta straziante:
"mi ricordo di un giorno
un giorno di fuoco,
e di una notte
una notte di fuoco,
e di tutto il tempo trascorso con te.
Quanti giorni
e quante notti
dovrò vedere
prima che il fuoco
illumini di nuovo
le nostre vite....."
Smise di recitare osservando le mie reazioni, in un ultimo, tormentato, sospiro di soddisfazione. Fissavo avidamente la pubblicità, e avrei voluto essere dentro lo schermo, dove un immacolato mulino faceva roteare le sue pale in un limpido ruscello nascosto tra i campi dorati, e dove tutti sono felici di esistere, tra un morso e l'altro di un fragrante biscotto al cioccolato.
Una famiglia perfetta, una vita perfetta....la televisione;
tutto quello che mi circonda è un perenne tormento. Mi perdo per un attimo in un ricordo che prepotentemente, dal passato, tornava a pungere il mio cuore difettoso, come se uno spillone fosse entrato di forza nelle carni....
Ero un ragazzino, e ascoltavo musica metal; quando ero triste -cioè quasi sempre- mi rinchiudevo nella mia cameretta, e stringevo forte la chitarra al petto. La poggiavo sulle ginocchia e, mentre calde lacrime scendevano amare, mi piegavo in avanti, fino a poggiare l' orecchio sulla chitarra stessa, in modo da poter percepire piccole note malamente strimpellate, ma fatte da me solo per me, in modo da non dover più sentire niente e nessuno, e il rumore assordante di questa maledetta vita.

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