venerdì 5 settembre 2014

FULMINI DI TEGOLE

Ci sono momenti che vorrei essere un'altra persona, avere amici diversi e parlare un'altra lingua; e, se proprio non posso essere qualcun'altro, mi basterebbe anche solo vivere il più lontano possibile da dove vivo ora, lontano da quelli che conosco.
E invece no, sono me, sempre e solo me stesso nello stesso posto, circondato dalle stesse persone.
La maggior parte di queste persone sono decisamente strambe (sembra che le attiri come calamite) come possedute da maligne entità che infieriscono nelle menti tramite l'uso di potenti armi caricate a turbe e psicosi varie, le quali minano quel poco di raziocinio che ancora si affaccia nella vaporosa realtà di questi sventurati; persone interessanti quanto si vuole, ma talmente fuori di testa che è quasi impossibile instaurare un rapporto che non degeneri in burla.
In quei giorni cenavo al circolo "fulmini di tegole" in compagnia di un nutrito gruppo di questi posseduti. Dopo aver mangiato a sazietà e risolto alcune questioni d'importanza capitale -chi è che lascia sempre le luci accese nel corridoio? chi è che non usa lo spazzolone per pulire dopo che ha cagato?- solevamo andare in giardino, sotto il fresco degli alberi, a fumare una sigaretta dietro l'altra e a riprendere certi discorsi lasciati a metà (insomma cel'hai o no un euro da prestarmi?).
Il gruppo era composto da soggetti giovani e meno giovani, maschi e femmine. Ognuno di noi si trascinava dietro un bagaglio di esperienze, accumulate nel corso degli anni e raccattate negli angoli più impensabili del mondo, difficilmente riscontrabili in persone ben più dotate. Una di queste femmine era una ragazza della mia stessa età, esageratamente sopra le righe, che fin da subito si è mostrata per quello che è:
una cafona allucinata che assale le persone, bucandone l'atmosfera, fino a girarle attorno come un satellite butterato, senza vita e del tutto privo di interesse.
Vorrei sorvolare sul suo aspetto -decisamente anonimo- anche perchè l'unica cosa degna di nota, l'unica cosa che salta all'occhio, è un seno enorme e straripante ma insolitamente basso, che ti fa stare lì come uno scemo a domandarti:
ma che diavolo c'è lì sotto?
Sembrano due palloncini gonfi che fluttuano appena sopra l'ombelico.
E' una di quelle ragazze oscene e sboccate che, quando parlano, sentono il bisogno di informare tutti su tutto ciò che la riguarda.
Questi esseri non riescono ad esprimersi normalmente, ma hanno bisogno di sbraitare a voce alta, e i loro ragionamenti sono contorti come steli seccati dal sole; hanno bisogno di farci capire che il loro ingegno raramente supera il livello intellettivo riscontrabile in certe, insulse trasmissioni televisive.
Anche quando ride sembra far di tutto fuorchè ridere:
i suoni gutturali che emette questo troglodita, infatti, sembrano solo la "caricatura" di una risata.
Quando sta per ridere lo si capisce subito: incassa la testa nel collo, abbandonandola sul petto (dove non c'è nulla) si copre gli occhi con una mano e si lancia in un nitrito incontrollabile.
Il risultato è abbastanza grottesco. Il suo doppio mento, già ben visibile, si contare così tanto, allargandosi a dismisura, da sembrare una pizza dove vistosi brufoli indossano la maschera di pomodori ciliegini.
L'aria, dove sta lei, finisce per mancare, come finita in una strozzatura.
HAAAAHAHAHAHAHAH...OICCHE' TU DICI?
NO VIA, RAGAZZI, MA NON SI PUO'.
HAAAAHAHAHAHA (mano sugli occhi)
"Perchè non si può?" dissi,
"nella discussione non c'èra niente che giustifichi questa risposta."
(mano sugli occhi)
"HAAAAHAHAHAHAHAHAHAHH, CHE SCEMO, E TU' MI FAI PROPIO MORI!'".
Quando c'èra lei, il livello culturale della serata si abbassava come si abbassa un cane quando capisce che è in arrivo una tremenda punizione.
Quando ancora mi fermavo a far finta di apprezzare la compagnia di questi signori, Lucia (così si chiama), era l'unica tra le habituè femminili del "fulmini di tegole" che si fermava a chiaccherare con noi uomini. Di norma stavamo sparpagliati nel cortile, alla rinfusa, come briciole di pane scrollato da una tovaglia, a trattenere i rutti, immobili come licheni, non proprio morti ma fermi, molto fermi. Sinistri mugoliì cercavano di emergere da stomaci dilaniati, ma soffocavano appena lasciate le labbra, precipitando in un vuoto ormai privo del sostegno dell'aria.
Lucia si posizionava al c'entro dell'attenzione, scomposta come uno scarabocchio e bloccava sul nascere ogni tentativo di conversazione altrui.
Folleggiava avanti e indietro e non stava mai ferma; si piegava e si torceva, sventolando il culo in faccia a tutti con palese soddisfazione e sembrava che la stessa luna rallentasse il suo cammino per gettare un'occhiata curiosa.
"MA CHE CARDO CHE FA"
"E VOI UNN' AVEE' CARDO?"
"A ME FA UN CARDO DELLA MADONNA. A VOI NO?"
"SON TUTTA SUDA'A. E VOI, VOI UN' SIETE SUDA'I?"
"Logico che face cauro"", disse Vito, un napoletano che aveva passato gli ultimi anni della sua vita alla stazione S.M. Novella a scolare vinaccio bianco in cartone. "Stiamo in agosto".
I suoi occhi azzurri brillavano sotto il lampione di una strana soddisfazione, e la parte superiore del cranio, del tutto calva, era bianca e creava uno strano effetto col resto del volto abbronzato:
sembravano due pezzi ben distinti, avvitati l'uno sull'altro.
"Ma fossi mica n'galore?" disse ancora.
"HAAAHAHAHAHAHAHH...MA COME TU PARLI?"
"HOI HOI, E TU SE' PROPIO NO SPORCACCIONE"
"E com'aggia parlà?"
Vito aveva smesso di bere e aveva trovato un buon lavoro, degnamente retribuito.
Era diventato un uomo "perbene", talmente assorbito dal lavoro (faceva volantinaggio) che quasi non parlava più d'altro e, se parlava d'altro, era solo per ricordarci quanto odiasse i suoi vecchi compagni di sbronza che ancora ciondolavano per la stazione.
"Stanno ancora tutti là, sempre m'briachi e zozzi e mi chiedono gli spicci."
"Ma che sono nò bancomatte? gli rispondo io". "Cel'ho gli spicci...eccoli quà, ma non ve li voglio dare...va buò?"
Le risposte di Vito le conoscevi già; erano tutte uguali.
Se, infatti, gli chiedevi una sigaretta rispondeva:
"e che so' nò tabbacchi?"
Se gli chiedevi un piccolo favore rispondeva:
"e che so' parente a te?"
Riusciva a svincolarsi da tutti sempre così, troncando di fatto ogni tentativo d'affondo. Giocherellava di continuo col suo nuovo cellulare, di quelli grossi ed ipertecnologici che per comprarli bisogna aprire un mutuo, e odiava tutto quello che ricordava il suo passato, quando passava le giornate a odiare quelle stesse persone che sono come è lui adesso.
"Non li posso mica verè a quiri scurnacchiati, quei corrnuti, co' la "r" maiuscola," disse Vito sventolando il mignolo e l'indice nel vuoto.
"L'aggia fà schiattà."
Ma Vito stava parlando già da troppo tempo e Lucia, momentaneamente rapita, stoppò il suo gesticolare con un acuto degno di un muezzin:
"MIKIIIIII, E ATE? A TE UN FA CARDO?"
"Si, certo che mi fa caldo" dissi io;
"odio l'estate, odio il caldo soffocante, odio il mare e la salsedine che si fossilizza sulla pelle."
"OHHH MA A TE 'UN TI GARBA DI FA' NULLA, ALLORA!"
Ad un tratto si fermò e si sedette, allungando le gambe sulle mie ginocchia. Aveva lo smalto sulle unghia dei piedi, di un colore strano, arancione fluorescente. Non mi è mai piaciuto lo smalto sui piedi, soprattutto così vistoso: lo trovo volgare.
"Guarda che la ditta appoggi sta' fallita" disse Vito, ammiccando in direzione dei piedi.
"Merda" pensai "questa avrei voluta dirla io", ma invece, come se nulla fosse, continuai a parlare del caldo:
"Avevo quasi pensato di trasferirmi in Norvegia, io il caldo proprio non lo sopporto."
AAHHH...NORVEGIA! GLI E' VERSO L'AFRIHA GIUSTO?
"Si, vicino. Un pochino sopra l'Africa."
CA' VISTO? PENSAVI CHE 'UN LO SAPEHO?
"No tesoro, sapevo che lo sapevi."
"CA' VE'E SENTIO TUTTI? " tubava, "SO' ANCHE IN' DOGLI'E' LA NORVEGIA!"
"Brava, brava" rispose Ibrido. Ibrido e' un ometto anziano, con radi capelli bianchi pettinati a "riporto", a nasconde la calvizie, ed e' così spiantato che riesce a vivere solo grazie a piccoli prestiti occasionali e a "chiodi" piantati nei bar di mezza città. Proviene da una famiglia benestante, un'antica e genuina casata fiorentina, ma si e' mangiato l'eredità di molte vite rigorose giocando nei casinò più famosi di tutto il mondo; e' stato uno di quei giocatori che scommettono forte, capaci di perdere anche dieci milioni in un'unica serata. Quando parlava avvicinava impudentemente la sua faccia raggrinzita a quella degli altri perchè non vedeva più tanto bene.
"E io i'cchè gli ho a fà?" disse Ibrido, "codesto cardo un tu lo batti miha.... "le harte bone cel'ha tutte lui"...."e gli è come quando persi dieci milioni in una botta sola...."
Parlava sempre delle sue clamorose perdite, ma come sempre nessuno gli prestava attenzione.
"HEI GENTE, CHE L'AVEHE VISTE LE MIE MUTANDINE?"
 Lucia tirò giù la parte superiore dei fusò macchiati mostrando, impigliato tra le fronde di violacee smagliature, un paio di slip rossi.
"Perchè porti le mutandine rosse"? disse Fausto, un tipo silenzioso e raffinato, molto colto, un ex imprenditore che aveva fatto naufragare la sua ditta edile fino a farla affondare nelle paludi della bancarotta.
"Vuoi forse farci capire che il semafero è rosso"?
"HHAAAHAHAHAHAHA" (mano sugli occhi) E TU SEI POHO GRULLO, VA'.... E SI EH, A ME MI GARBA DI DIERTIRMI, UN SON MIA NA' MUMMIA. PE FA' LA MUMMIA CI SA' SEMPRE TEMPO, NOO?"
Fausto invece una mummia lo era davvero; era sempre calmo, rilassato, e quando qualcosa non gli tornava la sua unica reazione era di girarsi a fissare Ibrido con occhi sorpresi, come a volergli chiedere:
"ma ho capito bene?"
A volte il telefono di Lucia squillava, e si allontanava svelta a parlare con chissà chi.
"E GLI ERA I' MI EX" ci informava di ritorno.
Guardava tutti negli occhi, ammiccando.
"UN VU' SAPEE' COME GLI' E'? A ME MI CHIAMAN TUTTI, EX MARIHO, EX FIDANZAHO, EX AMANTE."
"Vuol dire che hai lasciato un buon ricordo" rispondevamo all'unisono.
"BA'H, ICCHE' VU' CREDEE'? IO E SON BRAA' A LETTO!"
"Ma con tutto sto' ciaffico non ci rimane posto pe' nisciuno, noo?" s'intromise Ninuzzo, con l'indice e il pollice spianati a mò di pistola, a farli dondolare a destra e a sinistra come una testa nell'atto di sottolineare un risoluto "no". Ninuzzo è un siciliano rozzo e isterico che ha deciso di non occuparsi più della questione "igiene personale" e che, si dice per pedofilia, non può più far ritorno nella terra dei suoi avi, pena la condanna per scioglimento nell'acido.
(mano sugli occhi)
HAAHAHAHAHAHA...OICCHE' TU DICI? E TU SEI PROPIO BISCHERO!
"HEI RAGA, MA ST'ANNO IL 15 VIENE DI FERRAGOSTO, CHE LO SAPEHATE?"
Le risate esplosero improvvise, come mortaletti scoppiati uno dietro l'altro.
"Ferragosto viene sempre il 15" riuscii a dire.
HAHAHAHAHAHAHAHA...GLI E' VERO, E SON PROPIO GRULLA, VERO?
"Mica vero" dissi.
"No, mica vero" disse Fausto "sai essere anche profonda."
"Si, profonda come o' sticchio", disse Ninuzzo.
Ci voltammo tutti a guardarlo. Nessuno tollerava la presenza di quest'individuo:
si insinua nei discorsi altrui come un rettile che striscia verso la preda, sempre un po' in disparte, lontano dalla luce, in penombra.
SIIIII, CIO' NA CAVERNA; M' HANNO SPACCAO TUTTA!" disse Lucia. Parlava e rideva in continuazione; credo davvero non si rendesse conto della feroce ironia con cui tutti la trattavano. Poi, a un certo punto, mi accorsi che, anche se parlava un po' con tutti, con gli occhi cercava me.
" OH MIHIII'I', CIAVREI NA' MAGLIETTINA CHE FORSE TI STA BENE. GLI E' NA S", disse.
"Non posso indossare una magliettina small" dissi io "risalterebbero troppo i bicipidi, e non mi va."
"SI E', BAH! TU M' HA DI' IN DO' CEL' HAI TUTTI STI MUSCOLI"
"Bèh, non si vedono perchè sono sotto il grasso, in incognito".
(mano sugli occhi) "HAAAAHAHAHAHA...E TU SEI PROPIO BUFFO, SI.....
"ALLORA PROATI CODESTO"
Tirò fuori il pantalone di un toni dalla borsetta e, sempre rivolta a me:
"QUESTO E GLI ERA DE' I MI' FIGLIOLO. QUESTO FORSE TI STA"
Guardai il pantalone della tuta. Era palesemente il pantalone di un bambino.
"Ciccia" dissi io "con questo mi si risalta un'altro tipo di muscolo."
(mano sugli occhi)
"HAAAAAHAHAHAHAHAHA....SI E', BAH...E TI GARBEREBBE VERO?"
"Provare pè crede" biascicò Ninuzzo, "soddisfatta o rimborsata."
Ancora sguardi sprezzanti.
"OH MIHIIII..."
"cosa?"
"MA TE UN TU RIDI MAI...E TU SE' SEMPRE HOSI' SERIO...."
"Mihelino gli è troppo inteligente pè ridere....gli è sempre a pensare" disse Fausto.
" Si è! è gli è un piccione con le ali, mica come noi che siam piccioni sen'ali" continuò Ibrido.
"Scommetto che un'ha mai giohao d'azzardo."
"Cà mai giohao d'azzardo?"
"Statti buono michè, nun jocà mai d'azzardo, che rimani senz'ali pure tu", disse Vito.
"Magari fossi un piccione" dissi io serio "i piccioni volano alto, io invece volo basso, come gli insetti."
"Eh, e lo cazzo cà ti fotte no?"
"Cosa?"
"Nun tara fà fotte...m' hai capito o no?" I suoi occhi azzurri parevano elettrici.
"Ma tu mi hai capito o no? O tel'aggia scpiegà io tutte cose?"
"No Vito, non c'è bisogno che mi spieghi queste cose."
"Bravo guaglione."
"OOOOHHHHH....ALLORAAAA? ICCHE' SI FA? MIHIII CHE SI VA' A PIGLIA' UN'GELAHO?"
Vidi Ninuzzo sorridere viscidamente, silenzioso come un grassatore sul punto di colpire.
"Ok  Luci, andiamo. Offro io." dissi alzandomi dalla seggiola.
Accidenti a lei. Nonostante tutto era riuscita a farmi eccitare (erano la bellezza di due mesi che non giacevo con una femmina) e pensai che forse avrei potuto tappargli la bocca con qualcosa che non fosse solo nastro adesivo.... la seguiì come un cane che ha trovato un nuovo padrone.
Gli pagai il gelato, gli pagai il caffè e l'ammazzacaffè. Facemmo una passeggiata, cercando di tenere viva una conversazione sempre sull'orlo del coma. Non essendo certo delle sue intenzioni mi mossi con prudenza, anche se cercavo solo il momento giusto per saltarle addosso. Gli infilai la mano negli slip rossi, da dietro.
Lei sembrava non farci caso; continuava a parlare di sciocchezze finchè, seria e misurata per la prima volta da quando la conoscevo, mi chiese in prestito 50 euro.
Rimasi un pò sorpreso, oltre che contrariato (difficilmente presto soldi a qualcuno) ma, nella speranza che la serata si concludesse come avevo sperato, mi fermai a un bancomat e gli prestai questi soldi, con la promessa che me li avrebbe restituiti al massimo entro un paio di giorni.
Rientrammo al circolo nel silenzio più assoluto, passando tra gli squardi lascivi di Ninuzzo che sembrava non aspettare altro che il nostro ritorno. Non conclusi nulla e, come già sospettavo, non rividi mai più i miei soldi. Si, la domanda che vi state ponendo è quella giusta:
ALLORA? CHI GLI'HA PRESO PE'I CULO CHI?







Tubava con chiunque le capitasse a tiro.



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