sabato 16 novembre 2013

MAX GAZZE'

Ero partito solo per rispondere a una lettera d'invito speditami da un mio cugino; la lettera annunciava le sue imminenti nozze con una ragazza del posto, a me del tutto sconosciuta. Come molti altri miei numerosi parenti, anche lui abitava -e abita tutt'ora- in un piccolo paesino del sud Italia, lo stesso paese e lo stesso matrimonio dove conobbi anche Lucia. I matrimoni in questi posti sono ancora una cosa sacra, a cui non puoi sfuggire, e io vi ho sempre partecipato con un vago sentimento di costrizione:
non si può mancare a questi eventi, infatti, senza offendere qualcuno, e quel qualcuno, in questa circostanza, assumeva la forma enorme ed indefinita di parenti e conoscenti vari, i quali avevano- e hanno tutt'ora- una visione del mondo ancora molto arcaica. Una sera, dopo aver partecipato a questo matrimonio da favola (esiste una sorta di gara tra i genitori degli sposi in cui chi spende più denaro dell'altro è meglio dell'altro), mi ritrovai a un pub del posto in compagnia di una cugina sorella dello sposo, e di Lucia, una ragazza che era stata invitata in quanto amica di famiglia.
Credo sia inutile sottolinerare che quella sera mi ubriacai fino all'inverosimile, e che mia cugina, dall'alto della sua virginale reputazione, cercava di nascondermi all'intero paese, il quale avrebbe mormorato per un mese intero su questo suo parente di Firenze che dava spettacolo su tutto, in continuazione. Ero eccitato e in cerca di qualcosa di stravagante da fare:
Lucia ancora non aveva catturato la mia fantasia, e sinceramente non mi importava molto delle insulse e patetiche chiacchere di paese che già sapevo circondare la mia persona.
Per una strana combinazioni di eventi, poi, venni a sapere che Max Gazzè avrebbe tenuto un concerto nella piazza principale del paese quella sera stessa;
era tipico, nelle serate estive, che il sindaco organizzasse eventi del genere, come esibizioni canore, in cui veniva invitato qualche cantante più o meno conosciuto, e quella sera, per l'appunto, era stato invitato quersto cantante che, secondo la mia modesta opinione, aveva fatto delle cose abbastanza egregie.
Comprenderete che i miei ricordi sono alquanto vaghi, ma ricordo che mi ritrovai, improvvisamente, davanti al palco. La folla era tanta; credo che fosse uno dei maggiori eventi che il paese si sia mai sognato di ospitare, e le persone accorsero in massa, curiose.
C'èrano studenti universitari in vacanza, massaie, operai, oltre che ragazzini senza pretese, che si, avevano sentito parlare di quel cantante alla televisione, ma di cui non erano tanto sicuri di poter  riconoscere qualche canzone; e che dire degli immancabili vecchietti con berretto incorporato, calato sul cranio, che scrutavano il tutto senza partecipazione e interesse, appoggiati al loro bastone da passeggio, buoni solo a indicare e rimproverare coloro che avrebbero assunto gli atteggiamenti più indiscreti?
Come ho già detto, alcuni canzoni di Max Gazzè mi piacevano, per cui a un certo punto ho cominciato a ballare e a divertirmi, sempre circondato da questa mia cugina e da Lucia, che si accalcavano attorno a me come una sorta di barriera che cercava di celarmi al resto degli altri spettatori, immobili e ammusoniti.
Credo lo facessero solo per farmi una cortesia; cercavano di evitare che mi trasmormassi nello zimbello di turno, un tizio da additare solo perchè ballava senza remore a un concerto.
Io, invece, a quanto pare, facevo di tutto per essere notato.
Alla fine del concerto mi presentai, assieme a un nugolo di ragazzini, nei pressi della roulotte del cantante, dietro il palco, in cerca di un autografo. Ricordo che c'èrano tipo dei buttafuori che controllavano la folla, e a uno a uno facevano passare sti ragazzini, ognuno con foglio e penna, per permettergli di avere il loro autografo.
Arrivò il mio turno, ma grande fu la meraviglia quando capii che non mi avrebbero mai fatto passare.
Mi bloccarono con la scusa che ero troppo "grande", che l'ingresso era consentito solo ai bambini, o poco più.
Incredibile:
volevo solo un maledetto autografo, e questi tizi mi impedivano di raggiungere il cantante che, poco più in la, stava allegramente firmando una marea di autografi.
Non potevo arrendermi così:
Mi allontanai indignato e, barcollando tra la folla, quasi sorreggendomi su di essa, mi avviai in direzione del palco. Ero riuscito a seminare il resto della compagnia, e non c'èra più niente e nessuno a impedire che mi comportassi in modo sconsiderato.
Tutto a un tratto, ricordo, mi ritrovai a strisciare sotto il palco, nell'assoluta convinzione che sarei sbucato  dietro le "quinte", dove era sistemato il camerino di Max Gazzè, evitando così la cordata dei buttafuori, cosa che poi avvenne con straordinaria e imprevista regolarità.
Per farla breve, una volta sbucato da sotto il palco, e trovatomi al cospetto di Max, potei finalmente chiedere il tanto sospirato (e sudato) autografo.
Max era davanti a me; mi sembrò decisamente alto, con la faccia un pò buffa, ma carica di "charme"; decisamente un tipo affascinante.
"Max" dissi tutto eccitato, "sono un tuo grandissimo fan, e sono venuto a sentirti apposta da Firenze"......
ero molto disinvolto e insolitamente allegro, spensierato come uno scolaro all'ultimo giorno di scuola, e lanciavo occhiate divertite agli esterrefatti buttafuori che mi adocchiavano famelici, ma senza osare di avvicinarsi a me, ora che avevo instaurato un contatto con il cantante..
"no, ma che dici, non ci credo" rispose strabuzzando gli occhi, forse quasi credendoci. La sua voce era strana; sembrava uscire direttamente dal naso.
Avemmo altri scambi di opinioni, di cui non ricordo il tema, ma ricordo che mi sembrò un tipo straordinariamente alla mano, per niente presuntuoso o altezzoso, disponibile e paziente.
Eravamo completamente circondati da una marea di ragazzini che, sfrontati come solo i più giovani sanno essere, si accalcavano rumorosamente con tanto di fogli e penne a reclamare il loro autografo; e fu proprio allora che anche io gli chiesi un autografo tutto per me:
Max Gazzè mi guardò incerto e dubbioso. A differenza di tutti, infatti, io non mi ero portato appresso il materiale utile per avere una sua firma, ma poi, tra una fitta selva di mani e braccia che lo sommergevano, riuscì a dirmi:
"bèh, procurati almeno un pezzo di carta, sennò dove te lo faccio l'autografo?"
Giusta osservazione. Mi guardai attorno, passai in rassegna la fine ghiaia sotto i piedi e, non trovando nulla che potesse servire allo scopo, mi voltai verso il ragazzino più vicino a me, il quale aveva una serie di grossi fogli in mano, di quelli protocollo, lindi e ancora bianchi come il latte:
"hey piccolo, non è che mi daresti un foglio?"
Il piccoletto mi guardò a bocca aperta.
"No!!"
Che sia dannato se questo moccioso può trattarmi così, pensai, e con fulminea rapidità gli strappai di mano un pezzettino di carta, una striscia così piccola che avrebbe potuto benissimo passare per il pizzino di qualche boss mafioso. Quindi lo allungai a Max il quale, con enorme pazienza, riuscì a scarabocchiarci sopra una microscopica firma.
Ero al settimo cielo, satollo e invincibile:
ero una forza della natura, e nulla mi era precluso. Ripiegai con cura la sottile striscia di carta e la misi in uno scompartimento del portafoglio; ero decisamente felice di avere l'autografo di un cantante famoso, e lo mostrai sempre con un certo orgoglio a tutti i miei conoscenti, i quali, incomprensibilmente, non riuscivano ad apprezzare il mio tesoro ma, anzi, prendevano atto della cosa solo con un' occhiata veloce e disinteressata, e a volte grugnendo un "ah". Poi, un giorno, successe che persi il portafoglio. Li perdevo in continuazione, ma questa volta il colpo fu decisamente duro:
non si trattava solo del fatto che c'èra l'autografo dentro, sarebbe stato un danno irrisorio; il fatto grave è che avevo appena riscosso lo stipendio di un mese, quasi mille euro; anche il portafoglio stesso era nuovo, lo avevo appena comprato (spendendo molto) ed era di pelle nera, di quelli con la catena da agganciare ai jeans, della Harley Davison. E che dire, poi, del discreto quantitativo di marijuana, di quella buona, che avevo imboscato nel portamonete?
In un attimo solo persi tutti i miei averi.
Dopo molto tempo mi chiamarono i carabinieri, dicendomi che il mio portafoglio era stato ritrovato.
Ovviamente i soldi erano stati immessi sul mercato già da molti mesi, e anche l'erba era stata fumata e digerita; ma grande fu il mio stupore quando, frugando in cerca del piccolo autografo- pensando che a nessuno sarebbe fregato nulla di quello scarabocchio inciso su una piccola striscia di carta- non lo trovai più:
pure quello si erano scofanati....maledetti.


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